Cammino al fresco fino a Ronchelli, più o meno al passo con due escursionisti diretti al bivacco Varese per proseguire sulla ferrata, ci fermiamo a scambiare due parole al ponte “tibetano”. Da lì in poi il sentiero non è più evidente, l’erba è troppo alta (e bagnata), dopo i primi tornanti, in costa, non ci sono nemmeno segni di vernice e devo usare il GPS per non restare troppo in basso. Dopo una svolta a destra (sud) il terreno è più sgombro: sempre con i radi segni e il GPS arrivo ad A. Curtit col sole. Da qui la traccia si segue meglio, c’è un breve passaggio stretto su pietre umide attrezzato con una catena, peraltro arrugginita. Sempre piegando a sinistra in salita, i rari segni di vernice mi conducono, con foschia montante, per pratoni e rododendri al Lago di Pozzuoli Inferiore Orientale. Ambiente selvaggio ma bello. Punto a Sud fino alle rovine di un vecchio cantinotto e da lì piego a sinistra su un gobbo erboso e un pendio d’erba rada e rocce. Da qui giro un poco a destra su sfasciumi e salgo direttamente verso la Cima Segnale (consultando il GPS di tanto in tanto) fino ad un grosso blocco un poco esposto. Qui piego a sinistra, spostandomi verso la cresta Est, e proseguo sempre aiutandomi con le mani per un breve passaggio lievemente esposto fino alla cima (triangolo). Freddo e foschia: dato il tempo, torno celermente al laghetto sostando per mangiare, ripercorrendo più o meno i miei passi. Seguo quindi il cartello per il Lago Occidentale, ma la traccia si perde subito dentro un boschetto di ontanelli, sotto lo spigolo roccioso che scende dalla Punta di Pozzuoli: sono costretto ad aprirmi la via tra gli arbusti. Risalgo poi per una pietraia al secondo laghetto, e da qui cammino per una buona mezz’ora su terreno scoperto seguendo segni di vernice sbiadita e qualche ometto. Poco prima di un riale, in una zona ricca di mirtilli, perdo i segni e seguo una traccia d’animali che rimane alta verso Ovest invece di scendere verso Nord: realizzato l’errore tento dapprima di scendere direttamente verso il Loranco, ma le balze del terreno mi inducono a tornare indietro sulla traccia GPS. Anche senza più perdere i segni, comunque, la traccia sparisce dentro un altro boschetto, per cui l’ultimo tratto di discesa a valle diventa egualmente penoso e malsicuro, terminando poi in un punto dove le acque non sono guadabili. Devio un poco a monte, fino ad una cascata, guadando in acque più basse, e ritrovando segni di vernice che indicano una via ingombra di lavazze, la quale finalmente sbuca in un pratone. Qui c’è un cartello che indica la via tra l’Alpe Camasco e l’Alpe Campolamana, alla quale ritorno su ottima traccia ben battuta. A valle del sentiero che scende dal rifugio Andolla la strada è anche frequentata da varie persone. Rientro a Cheggio stanco, con vari graffi e un poco deluso per la foschia che, dal Segnale, mi ha nascosto il panorama.